Convegno “I CENTRI STORICI DI TOSCANA. Musei per turisti o città da abitare?”

Accademia delle Arti del Disegno. Firenze. A cura di Renzo Manetti.

Francesco Gurrieri
ANATOMIA DEI CENTRI STORICI  Mezzo secolo di affannato dibattito

L'attenzione per i “centri storici” nella cultura urbana e della conservazione ha varcato il mezzo secolo. Una lunga stagione di dibattiti, convegni, sperimentazioni, infiniti insuccessi, poche soddisfazioni, tanti problemi oggi più che mai aperti e di non facile soluzione.

Così che, più che di “anatomia” dovremmo parlare di “anatomia patologica” dei centri storici: cerchiamo di vedere perchè. Non prima, tuttavia, di aver ricordato almeno alcuni dei colleghi e degli studiosi che ci hanno preceduto in questo disperato tentativo di portare qualche contributo a uno dei più difficili temi culturali e civili del nostro tempo: alludo a Roberto Pane, Ludovico Quaroni, Giancarlo De Carlo, Edoardo Detti e altri; nonché a quell'associazionismo che si raccolse ed operò per anni intorno all'ANCSA, Associazione Nazionale Centri Storico Artistici che anche a Firenze ebbe la sua sezione di lavoro; ed ancora, al Convegno di Gubbio, organizzato dall'INU nel 1964. 

Il Centro Storico – si è detto più volte - non è solo il cuore della città e del territorio comunale, ma è anche l’immagine che ha solidificato nel tempo la sua storia,  come ci ha lasciato scritto Lewis Mumford.         
Dunque, riflettere sul Centro Storico, sulla sua attualità, sul suo inalienabile ruolo, significa scavare sui delicati sedimenti culturali che ne hanno conformato l’identità urbana; ma anche concorrere a immaginarne nuove funzioni per la contemporaneità.

Nonostante numerosi siano stati gli studi sui centri storici – in Italia e in Europa - inesauribile resta l’attualità (e l’opportunità)  di queste riflessioni, fors’anche per l’accelerato mutamento della dinamica del commercio, delle professioni, del lavoro, della “vita di relazione” in genere. Ed ora, i ritmi di trasformazione dell’uso della città sono ben avvertibili : diverso concetto di “residenza”, diverso uso dello “spazio urbano” , mutamenti e sostituzioni merceologiche assolutamente imprevedibili, spinte al cambiamento della stessa “immagine della città”. Tutto ciò esasperatamente aggravato dall'accelerata spinta della complessa meteora del turismo degli ultimi due decenni, apparentemente ingovernabile.

A questa dinamica complessità tenta, ma non sembra più in grado di  rispondere la pianificazione urbanistica con i suoi strumenti disciplinari e normativi. Ma è sempre più evidente come la conservazione della  identità urbana  si sposti sulla “conservazione integrata” , anch'essa condizionata dal nuovo fenomeno della finanziarizzazione dei grossi investimenti immobiliari con capitali internazionali.    

Nella distanza del tempo (son passati quasi due decenni) possiamo e dobbiamo riflettere sul mutamento del centro storico della nostra città. L'impoverimento economico, culturale, civile, non è casuale, né spiegabile con la retorica affermazione degli ineluttabili “cambiamenti di vita”. Certo, siamo di fronte a concause, ma fra queste ce n'è una, tragica e irreversibile, riconducibile ad un errore urbanistico-amministrativo imperdonabile: l'aver cancellato quell'inimitabile “campus universitario” costituito dal tessuto organico fra   università e  centro storico,  smantellando la “città universitaria” col trasferimento di tre facoltà fondamentali come giurisprudenza, scienze politiche ed economia. Poche altre città europee potevano vantare tanta suggestione culturale per le famiglie che avviavano i loro figli agli studi. La qualità culturale e artistica del centro di Firenze costituiva di per sé una prima condizione di base, quasi naturalmente maieutica, esemplare, ancor prima della bontà del corpo accademico: non a caso, dei più dei 50 mila studenti – la popolazione universitaria – buona parte veniva da diversi angoli del mondo e da più parti della penisola. Studiare a Firenze era un privilegio anche per la qualità scientifica delle strutture di studio e di vita di relazione: biblioteche, musei, librerie, tante librerie, cinema, teatri grandi e piccoli. Ma era soprattutto lo spazio urbano a far da catalizzatore a quella vita di relazione che era altrettanto importante di quanto accadeva nelle aule delle facoltà. Via Laura, via Capponi, l'Annunziata, via Cavour, Pietrapiana e i lungarni, erano arterie ove si consumavano conversazioni e approfondimenti iniziati in aula; la biblioteca Riccardiana e la Marucelliana luoghi ulteriori di appuntamento e d'incontri, accanto a studi professionali o residenze di studenti “fuori sede” ove si cementavano amicizie e si cresceva insieme.

Oggi, a chi amministra una città non si chiede alcun sconvolgimento delle cose umane e piuttosto di governare al meglio la indubitabile complessità della realtà.  Abbiamo ormai alle spalle le grandi metamorfosi urbane e l’idea della città “invincibile” e “resiliente” predicata da Gottmann e poi da Giandomenico Amendola e gli amici del Massachusset Institute of Technology (proprio qui a Firenze).
Programmare un equilibrio fra turismo e salvaguardia delle nostre fragili città d’arte: ecco, credo che questo ineludibile equilibrio possa e debba essere affrontato, con la fortunata coincidenza di una disponibilità di risorse che la città non ha mai avuto dai tempi di La Pira per l’Isolotto e poi per Sorgane. Potenzialmente, si tratta di investimenti stimati in diversi miliardi da guidare e spendere correttamente. “Invest in Florence” è una mappa appetibile, capace di riossigenare la città, a condizione che, di ogni capitolo, non si dimentichi la buona quota di interesse pubblico. Non solo, ma che l’occasione sia incentivo (per Assoindustriali, sistema bancario e Camera di commercio) per riaggregare quella massa imprenditoriale qualificatissima che l’area fiorentina aveva e che sembra ormai semidispersa.  C’è bisogno di tutti per risollevarci, riaprendo gli studi e le analisi di pianificazione intercomunali da troppo tempo abbandonati.
La decongestione urbana e il riequilibrio della mobilità dovrebbero essere  l'obiettivo prioritario verso il 2050 .
Ma Firenze non può rischiare di farsi distruggere dal turismo, in un progressivo appiattimento; deve ritrovare la forza per riaffermare il ruolo e la primazia culturale che le competono.

Va individuata una strategia unificante intorno a un'idea, a un asse portante. Questo asse portante non può che trovarsi nella cultura: la connotazione che, da sempre, ha distinto Firenze; ma che sarebbe auspicabile potesse coinvolgere altre realtà, come Pisa ad esempio (Ateneo e Scuola Normale).
Qui indichiamo una linea : quella di trasformare e arricchire alcuni prestigiosi istituti presenti in città, da nazionali a europei: un processo di “europeizzazione>> di realtà culturali come l'Opificio delle Pietre Dure (Laboratori di Restauro) in “Centro Europeo di Studi e Alta Formazione per il Restauro delle Opere d'Arte”; l'estensione dell'Accademia della Crusca in “Centro Studi e Formazione per le lingue europee”; l'estensione dell'Archivio Contemporaneo del Vieusseux in “Archivio Europeo della Scrittura”.  E altrettanto potrebbe valere pre il Museo della Scienza, oggi Museo Galileo.
Tutte nuove “funzioni forti”, capaci di concorrere a quel riequilibrio – oggi un po' perduto – di cui la città ha bisogno.

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